La competenza all’emissione di obbligazioni, prima riservata all’assemblea straordinaria, viene demandata, con norma di carattere dispositivo, all’organo amministrativo (nella legislazione speciale, cfr. già art. 12, comma terzo, T.U. 385/1993). In precedenza, era comunque possibile delegare l’emissione di obbligazioni agli amministratori, ma solo entro i limiti stabiliti dall’art. 2420.
Si è operata, dunque, una scelta più decisa rispetto al principio affermato nella legge di delega, che rimetteva semplicemente all’autonomia statutaria il potere di fissare la competenza in merito. La ragione e il fondamento di questa decisione risiedono nel principio affermato all’art. 4, comma nono, della legge di delega stessa, in cui si esprime un favore per l’attribuzione all’organo amministrativo delle “modifiche statutarie attinenti alla gestione della società che non incidono sulle posizioni soggettive dei soci”.
In conformità a tale principio, la deliberazione di emissione di obbligazioni convertibili, in quanto idonea a modificare la partecipazione relativa dei soci nella società, continua ad essere riservata alla competenza dell’assemblea straordinaria (art. 2420 bis).
La deliberazione dell’organo amministrativo, tuttavia, deve essere verbalizzata da notaio ed iscritta nel rispetto della procedura prevista per l’adozione delle modifiche statutarie (art. 2436).
Per la disciplina delle deliberazioni affette da nullità, v. l’ art. 2379 ter.
Con la riforma si è colta l’occasione per ricollocare, all’interno del codice, la disciplina della procedura di deposito, iscrizione e pubblicazione delle modificazioni statutarie, spostandola opportunamente nell’art. 2436 (il quale, precedentemente, rinviava all’art. 2411).
In relazione ad uno dei principi espressi dalla legge di delega (ossia l’ampliamento degli strumenti di finanziamento dell’impresa – art. 4, comma 6°, lettera c)), l’art. 2411 consente che il diritto al rimborso del prestito obbligazionario e al pagamento degli interessi assuma profili di subordinazione rispetto alla soddisfazione di altri crediti della società (cfr. art. 12, ultimo comma, T.U.B.).
Le modalità inerenti la remunerazione del prestito possono anche essere legate a parametri oggettivi, anche legati all’andamento economico della società.
In tal modo, il prestito obbligazionario può assumere caratteri di partecipazione al rischio di impresa (limitatamente, però, ai rendimenti del prestito). Recependo esperienze già maturate all’estero, si viene, in sostanza, ad assottigliare la linea di confine tra capitale di rischio e capitale di credito (cfr. Relazione).
Problematica è l’interpretazione dell’ultimo comma, che estende l’applicazione della disciplina “del presente capo” agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società.
Si rileva, in primo luogo, un refuso, in quanto il “capo” in cui la disposizione è collocata è il quinto, che comprende l’intera disciplina della s.p.a.. Sembra, comunque, che l’interpretazione più plausibile sia nel senso di intendere il richiamo come effettuato alla “sezione” (VII).
Si osserva, poi, che tra gli “strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società” potrebbero, prima facie, rientrare anche le azioni correlate, o tracking shares, emesse ex art. 2350, secondo comma (“azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore”), in quanto le azioni sono una species del genus “strumenti finanziari”. Tuttavia, la disciplina specifica prevista in materia di azioni dovrebbe senz’altro prevalere, facendo così assumere al terzo comma dell’articolo in commento un ambito applicativo residuale. Oltretutto, non sarebbe agevole il coordinamento di disciplina, soprattutto per quanto concerne i limiti di emissione (in quanto si assumerebbe a parametro un valore, il capitale, che le azioni stesse vanno a formare).
Alcune incertezze suscita, parimenti, l’eventualità di estendere la disciplina della sez. VII agli strumenti finanziari di cui agli artt. 2346, sesto comma, e 2349. Essi sono disciplinati nella sezione relativa alle azioni e agli “altri strumenti finanziari partecipativi”, ma senz’altro non rientrano nella formazione del capitale (cfr. l’art. 2346, sesto comma, in cui si fa riferimento all’emissione a fronte di un apporto di opera o di servizi, elementi non imputabili a capitale). In sostanza, rappresentano un’alternativa alla “diversa assegnazione delle azioni” (art. 2346, quarto comma), per consentire alla società l’acquisizione di ogni elemento utile allo svolgimento dell’attività sociale. Di conseguenza, pare non sussista, a fronte dell’emissione di tali strumenti, un apporto che permetta di individuare nel rapporto tra portatore e società quella componente “creditoria” che, seppure in maniera duttile, deve caratterizzare gli strumenti finanziari cui applicare la disciplina della sezione in commento (si fa riferimento, infatti, ad un “rimborso del capitale”). Si desume, quindi, che la disciplina degli strumenti finanziari partecipativi è rimessa interamente all’autonomia statutaria (e dunque anche la creazione di un’organizzazione di gruppo dei portatori).
Infine, un raffronto tra la formulazione del secondo e del terzo comma porta ad interrogarsi sulla sussistenza di un’autonomia della categoria “obbligazioni” rispetto agli altri strumenti finanziari “di debito”, variamente configurabili. Il secondo comma dell’art. 2411 consente di ancorare all’andamento economico della società solo il pagamento degli interessi, e non anche il rimborso del capitale; il terzo comma, nell’individuare gli strumenti finanziari, ai fini dell’estensione della disciplina dettata in materia di obbligazioni, indica la possibile dipendenza anche del rimborso del capitale dall’andamento economico della società. Posto che, a prescindere dalla denominazione prescelta, la disciplina applicabile è la medesima, il carattere distintivo delle obbligazioni, rispetto agli altri strumenti finanziari, sembra consistere unicamente nella intangibilità del diritto al rimborso del capitale (ferma restando la possibilità di subordinazione rispetto ad altri creditori).
I limiti all’emissione di obbligazioni risultano, conformemente al disposto dell’art. 4, comma sesto, lettera d) della legge di delega, fortemente attenuati.
Il limite precedentemente previsto individuava la soglia massima di emissione nell’importo corrispondente al “capitale versato ed esistente”, considerato tradizionalmente la garanzia generica dei creditori sociali. La ratio di tale limitazione, inoltre, esprimeva l’esigenza di realizzare un’equilibrata distribuzione del rischio di impresa tra capitale di rischio e capitale di credito.
La disciplina previgente, oltre a limitare fortemente la possibilità di ricorso a tali strumenti di finanziamento, poneva anche problemi applicativi, inerenti:
l’accertamento dell’effettiva esistenza del capitale al momento dell’emissione;
le modalità di attestazione dell’effettiva entità del capitale (in taluni casi la giurisprudenza richiedeva un bilancio “speciale”, in altri casi si ritenevano sufficienti le risultanze dell’ultimo bilancio, con l’aggiunta di un’apposita dichiarazione, da rendere a verbale, da parte del presidente dell’assemblea).
Il nuovo art. 2412 mantiene, in principio, una regola di rapporto tra il ricorso al capitale di rischio e a quello di credito, assumendo come base del parametro alcune voci del patrimonio netto: il capitale sociale (quindi l’importo che i soci hanno versato o si sono impegnati a versare, e non più solo quello versato), cui vanno aggiunte la riserva legale e le riserve disponibili: in sostanza “tutto ciò che rappresenta l’impegno economico dei soci nella società” (Relazione).
Il parametro, così come individuato, deve essere raddoppiato al fine di individuare il limite all’emissione di obbligazioni.
La ratio di tale notevole ampliamento risiede nella volontà di “agevolare l’accesso al mercato dei capitali” (Relazione)
Nella legislazione speciale, la deliberazione CICR del 3 marzo 1994 elevava il limite di cui all’art.2410 “sino all’ammontare del capitale versato e delle riserve risultanti dall’ultimo bilancio approvato”, esclusivamente per le società con titoli negoziati in un mercato regolamentato (escludendo, però, la deroga per le società finanziarie di cui all’art. 106, comma primo, e 113, comma primo, T.U. 385/1993, e mantenendola invece per quelle di cui all’art. 107 T.U. 385/1993). Tali distinzioni, con il nuovo testo dell’art.2412, non rilevano più.
Il rispetto del limite così individuato deve essere attestato dai sindaci.
Deroghe:
a) Al fine di agevolare il ricorso al finanziamento mediante prestito obbligazionario, è prevista la possibilità di emettere obbligazioni superando il limite di cui al primo comma, qualora le obbligazioni emesse in eccedenza siano destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione dei titoli, chi li ha trasferiti resta responsabile della solvenza della società, nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali.
Scompare, dunque, l’eccezione relativa ad obbligazioni garantite da titoli nominativi emessi o garantiti dallo Stato, sostituita dall’ipotesi, più generale, di assunzione della garanzia medesima da parte di investitori qualificati.
b) Il prestito obbligazionario non è soggetto al limite di cui al primo comma, e non rientra nel calcolo al fine di stabilire il limite medesimo, qualora l’emissione di obbligazioni sia garantita da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore degli immobili medesimi (eccezione prevista anche prima della riforma, ma con riferimento generico all’ipoteca, e solo al fine del superamento del limite).
Si sottolinea la differenza tra le due ipotesi: solo l’emissione sub b) non rientra a far parte del calcolo,al fine di stabilire il limite. Di conseguenza, qualora il limite sia stato raggiunto, seppure con la sottoscrizione da parte di investitori professionali, non sarà più possibile emettere obbligazioni nei confronti del pubblico.
c) Nessun limite è previsto per l’emissione di obbligazioni da parte di società con azioni quotate in mercati regolamentati, purché le obbligazioni siano destinate anch’esse alla quotazione, ritenendo, in questo caso, sufficiente il controllo del mercato (nella legislazione speciale, sulla possibilità di emettere obbligazioni senza osservare il limite di cui all’art. 2410, v. art. 12, T.U. 385/1993, e art. 37 sexies, l. 109/1994; in quest’ultimo caso, si richiede la costituzione di una garanzia ipotecaria).
d) È stata mantenuta la deroga speciale di cui all’art. 2410, terzo comma (ora art. 2412, quinto comma).
e) Restano salve le disposizioni di leggi speciali.
Viene mantenuto, al fine di evitare l’elusione dei limiti quantitativi per l’emissione di obbligazioni, il divieto di ridurre il capitale sociale in violazione di tali limiti.
Le modifiche apportate alla norma derivano in parte dalle novità introdotte in materia di limiti, in parte dalla necessità di rendere la lettera della norma più coerente con il sistema.
In primo luogo, si esclude il divieto di riduzione volontaria del capitale sociale (e cioè ex art. 2445 o ex art. 2446 qualora le perdite non superino il terzo del capitale) in presenza di prestiti obbligazionari non soggetti a limiti quantitativi (ipotesi previste dai commi terzi, quarto e quinto dell’art. 2412).
Si precisa, inoltre, che la riduzione volontaria del capitale sociale, nonché la distribuzione di riserve, sono comunque consentite, purché risultino rispettati i limiti quantitativi di cui al primo comma dell’art. 2412, rispetto alle obbligazioni non rimborsate. La precedente formulazione dell’art. 2412 era insoddisfacente, in quanto richiedeva un’interpretazione sistematica per consentire la riduzione del capitale, senza rispetto della proporzionalità con le obbligazioni rimborsate, in caso di prestito obbligazionario emesso per somma inferiore al capitale sociale, anche quando, a seguito della riduzione, risultassero rispettati i limiti di cui all’art. 2410.
La lettera della norma risulta migliorata anche nel secondo comma, in quanto si introduce un riferimento generico alle ipotesi di riduzione obbligatoria del capitale sociale (che comprende anche le ipotesi della revisione della stima dei conferimenti in natura, dell’estinzione delle azioni del socio moroso e del recesso del socio; in questi due ultimi casi, solo a seguito del mancato collocamento delle relative azioni), mentre precedentemente si menzionava solo la riduzione obbligatoria per perdite.
Inoltre, si semplifica la descrizione del meccanismo di calcolo, ponendo un divieto di distribuzione di utili fino al raggiungimento, da parte dell’ammontare che rappresenta la somma del capitale sociale e delle riserve, della soglia corrispondente al valore delle obbligazioni in circolazione. Tuttavia, la stesura della norma non appare coerente con il primo comma dell’art. 2412: il divieto di distribuzione di utili, infatti, dovrebbe operare fino al raggiungimento, da parte del capitale e delle riserve, della soglia che rappresenta la metà del valore delle obbligazioni ancora in circolazione. Si tratta senz’altro di una svista, ma che deve necessariamente essere corretta, in quanto la lettera della norma non consente un’interpretazione conforme al dettato dell’art. 2412, primo comma.